mercoledì 21 febbraio 2018

Il XXIII Romics, il Festival Internazionale del Fumetto, Animazione, Cinema e Games, che avrà luogo nella Capitale dal 5 all'8 aprile, celebrerà l'attore inglese Martin Freeman assegnandogli il Romics d'Oro, premio mai attribuito ad un attore. Freeman reduce dal successo del cinefumetto Marvel, Black Panther, ha recitato in molti lavori cari al mondo nerd: Guida Galattica per Autostoppisti, Sherlock, Lo Hobbit, Fargo, Ghost Stories e i già citati film Marvel.


martedì 20 febbraio 2018

È spuntato sul canale ufficiale YouTube di Marvel Entertainment, un video dove il caporedattore, C.B. Cebulski e il direttore creativo Joe Quesada, introducono l'iniziativa "A Fresh Start" che propone, per maggio 2018 negli States, un rilancio del parco titoli fumettistico Marvel. L'iniziativa promette "nuove serie, nuovi team creativi, nuove direzioni e nuovi inizi", mostrandoci quelli che saranno i protagonisti di questa nuova fase che a detta di Quesada sarà un perfetto punto di partenza sia per chi non ha mai letto fumetti Marvel, sia per chi voglia ritornare a leggerli dopo averli abbandonati.


Il celebre mensile giapponese V-Jump di aprile 2018 ha rilasciato succose informazioni sul nuovo gioco per Android e iOS: Dragon Ball Z: Bucchigiri Match.
Il gioco sarà un card battler e a quanto pare potrà essere giocato senza alcuna installazione nei dispositivi grazie alla tecnologia Html5.
Il canale YouTube giapponese di Bandai Namco Entertainment nel frattempo ci delizia con un esilarante commercial che ci fa capire come il gioco si baserà perlopiù sul multiplayer.


lunedì 19 febbraio 2018


Il mio quarto di dollaro su Black Panther, di Ryan Coogler


Di un possibile film in cantiere su Black Panther se ne parlava oramai da anni. Il Wakanda, nazione africana di cui l’eroe è re, appare per la prima volta nella continuity narrativa dei film Marvel Studios nel 2010, in Iron Man 2, di Jon Favreau. La si nota grazie ad un “bollone” su un avanzato planisfero digitale alle spalle di Tony Stark e Nick Fury, in una delle scene conclusive del film. T’Challa, in carne ed ossa, appare invece per la prima volta sul grande schermo, a fianco del suddetto “genio, miliardario, playboy, filantropo”, solo nel 2016, in Captain America: Civil War, che introduce il personaggio nell’universo narrativo chiamato Marvel Cinematic Universe, precedentemente ad una pellicola ad egli dedicata.

Il Wakanda in Iron Man 2

Look out! Here comes the… Black Panther!


È una mossa analoga a quella fatta per Spider-Man, personaggio però con uno status ambiguo, a causa dei suoi diritti cinematografici in mano a Sony. Spider-Man: Homecoming, co-prodotto da Columbia Pictures, Marvel Studios e Pascal Pictures, è stato un film acclamato da appassionati e critica, ciononostante è innegabile che il suo ambientarsi in una continuity già consolidata, ha fatto sì che la pellicola fosse infarcita da una moltitudine di citazioni e riferimenti, che le comparse di personaggi già conosciuti fossero funzionali al proseguire della trama e che il film, per quanto divertente e godibile, faticasse a reggersi sulle proprie gambe se non si aveva fruito dei precedenti capitoli del cosmo narrativo creato dalla Casa delle Idee.
Ma va bene così, perché Spider-Man: Homecoming si ambienta per gran parte nel cuore di questo universo, cioè a New York City, sede dell’invasione aliena del primo Avengers e centro del mondo per antonomasia di tutte le incarnazioni dell’Universo Marvel.

Questo, non quello di Raimi o di Webb (cognome azzeccatissimo per il regista di un film di Spidey però!)

The truth is…


E Black Panther? Date queste premesse e le recenti polemiche sulla presunta poca autonomia creativa data ai registi che hanno a che fare coi colossi del cinema, verrebbe da credere che anche questa pellicola avesse ricevuto il medesimo trattamento: un film per appassionati, comprensibile perlopiù solo a chi abbia visto tutti gli altri. Ma la verità è che… anche questa volta, i Marvel Studios hanno deciso di fare altro.
Data anche la prossimità di Avengers: Infinity War, che si preannuncia essere l’apice dei primi dieci anni di vita di questa continuity comune a diciassette film, molteplici cortometraggi, serie televisive, webserie e fumetti di approfondimento (i prequel che escono in concomitanza con ogni film, con copertina perlopiù nera; N.d.A.), da Black Panther ci si aspetterebbe altro da quanto effettivamente si vede: magari, un po’ banalmente, una bella scala che ci conduca all’incontro con Thanos e invece ci ritroviamo davanti a un film molto terrestre, quasi a sé stante. Ryan Coogler, coadiuvato dai Marvel Studios, non ci dà quello che volevamo, ci sorprende, dandoci una pellicola di supereroi atipica, ma che funziona decisamente bene!

Sarà per un'altra volta, Big T!

Wakanda Forever!


Black Panther si ambienta perlopiù nella nazione africana altamente tecnologica del Wakanda, una nazione di finzione, e di cui si giustifica la scarsa presenza nei discorsi degli abitanti del Marvel Cinematic Universe perché la si crede uno stato di contadini, di poca importanza e con poco da dare al resto del pianeta. Naturalmente non è così, il Wakanda è appunto una nazione molto più avanzata di qualunque altra, grazie ai suoi ricchi giacimenti di vibranio, minerale dalle proprietà stupefacenti, ma è anche proprio a causa del vibranio che questo stato vive da sempre nell’ombra, combattendo solo quando ce ne sia assoluto bisogno e facendo appunto credere di essere un paese del terzo mondo.
Forse è proprio grazie a questa desiderata posizione marginale, quella di un paese e un popolo la cui storia è sì profondamente incassata nel tessuto di questo universo narrativo, ma che ne vive ai margini, che questa volta è stato possibile, sì come già fatto per altre pellicole, sfruttare la solida continuity costruita fino ad adesso, narrando le peripezie di un personaggio già visto precedentemente, ma solo come trampolino di lancio al botteghino. Perché dopo aver guardato questo film l’impressione principale che si ha della presenza di Black Panther in Captain America: Civil War è quella di un grosso gattone nero che ci invita con le sue movenze feline ad andare a vedere il suo film, anche se questo avrà a che fare poco o niente con quanto accade nella pellicola dedicata al suo amico a stelle e strisce.



Il grosso gattone nero e i suoi superam... e la "parte" di Iron Man in Captain America: Civil War

Andare a guardare Black Panther, da una certa prospettiva, riporta alla mente alcune delle sensazioni provate guardando il primo Iron Man: è un film ambientato nel Marvel Cinematic Universe: sappiamo dove e quando siamo, ma il resto del mondo non è coinvolto, importa solo il Wakanda.
La pellicola si regge davvero sulle proprie gambe: il film, come molti dei precedenti, comincia in media res, la narrazione degli antefatti e delle origini del protagonista sono ridotti all’osso, ma solo perché di chi sia Black Panther e di cosa sia il Wakanda si avrà modo di parlare ampiamente anche in seguito e anzi per quasi tutta la durata del film. Sì, perché Black Panther è da sempre il protettore del Wakanda e la nazione stessa è la co-protagonista della pellicola.
È un paese dove si combinano perfettamente tradizione e tecnologia, un Paradiso Terrestre, un El Dorado: il modo in cui Wakanda è stato portato sul grande schermo lo rende davvero credibile: abitanti, colori, costumi, musiche, storia, tradizioni ed usi danno la percezione di un luogo davvero esistente e vivo.

Una veduta del Wakanda e del Bat-Aereo di Black Panther

Excelsior!


Passando alle tonalità adoperate per questo film, esse sono leggermente differenti da quelle degli altri e lo pongono quasi agli antipodi del suo più recente predecessore Thor: Ragnarok: se infatti l’ultima dello zio del tuono era una pellicola molto divertente, simpatica, dai colori psichedelici e che strizzava spesso l’occhio agli appassionati con citazioni e riferimenti, Black Panther è decisamente più serioso, con tinte a tratti quasi da spy story e come già detto con pochi riferimenti.

Il budino di Stan Lee sul set di Thor: Ragnarok (cameo, eh-eh, capita la battuta?)

La formula Marvel comunque c’è: ci sono gli easter eggs, ma non così centrali come altrove, non si pretende che quanto visto prima non sia mai accaduto, ma tutto viene da dire meno che questo sia uno spin-off di Captain America o Iron Man, e lo spettatore viene messo in una condizione in cui può semplicemente rilassarsi e godersi il film, senza pensare a dove avesse già visto la sigla stampata sui boxer di T’Challa.
C’è naturalmente il cameo del leggendario Stan Lee, questa volta molto più sobrio del solito, in sintonia col tono del film e ci sono ben due scene dopo i titoli di coda, anche queste molto misurate, belle, ma non tra le più sfiziose viste su grande schermo.
Ho parlato molto di autonomia, ma mi si potrebbe dire che nella pellicola compaiono due facce note e in un ruolo tutt’altro che marginale: sono Ulysses Klaue già interpretato da Andy Serkis in Avengers: Age of Ultron ed Everett Ross interpretato da Martin Freeman e già comparso in Captain America: Civil War. A questo proposito, la verità è che sono più definibili cameo quelli che abbiamo visto nei primi film in cui sono apparsi che non questo, dove sono dei veri e propri comprimari, presenti per un motivo preciso, con un loro ruolo e un loro scopo.

Andy Serkis e Martin Freeman in una scena del film

Long live The King!


Black Panther è un film che ha saputo attirare l’attenzione anche dei non abituè dei cosiddetti “cinefumetti” e questo perché il regista Ryan Coogler, ci mette davanti ad argomenti di grande attualità, come già fatto nelle sue pellicole precedenti, parlandoci di problematiche relative alla discriminazione, all’immigrazione, al pregiudizio e al razzismo, centrando in pieno il punto, anche se l’ambientazione è più africana che americana (ed è molto interessante a questo proposito il binomio di musiche tribali e pezzi hip hop curato dal rapper Kendrick Lamar), e ribaltando talvolta prospettive e punti di vista (difficile dire altro senza spoiler!). Il modo in cui porta all’attenzione argomenti di questo genere è molto convincente e rende queste tematiche organiche alla trama della pellicola, tanto da portare lo spettatore a capire quali siano le ragioni che spingono il nemico di Black Panther ad agire, un po’ com’era già accaduto con l’Avvoltoio di Spider-Man: Homecoming. Certamente non si può paragonare la perfomance di Michael B. Jordan (che aveva già lavorato con Ryan Coogler in Creed - Nato per combattere) a quella di Michael Keaton (l’Avvoltoio), e c’è da dire anche che condividere la scena con un attore che buca lo schermo come Andy Serkis non è facile, ma la scrittura del suo personaggio, unita alle sue capacità di giovane attore, lo ha reso un villain credibile e godibile che permette di riflettere sulle due facce della medaglia delle ragioni sue e di T’Challa. Buonissime anche le interpretazioni degli altri componenti del cast e l’alchimia creatasi tra questi che ha dato un contributo decisivo nel dare vita su grande schermo a uno spaccato della vita della famiglia reale wakandiana realistico e piacevole da seguire.

Ryan Coogler e Danai Gurira che interpreta Okoye


Il film dunque, per la categoria in cui si pone, è una pellicola molto attuale e matura, ma allo stesso tempo godibilissima anche per chi non abbia mai visto un film dei Marvel Studios: una pellicola ambiziosa e bella da guardare sia per gli appassionati, sia per chi voglia passare due orette in leggerezza, vedendo un prodotto ottimamente costruito, ma che ha anche la capacità di fare riflettere.